Da quando ne ho sentito parlare -avevo circa 20 anni ed ero in seminario- mi ha sempre affascinato. In Charles de Foucauld, francese doc, ho trovato la tonalità dell’esploratore. Esplorare, ricercare: un anelito profondo dell’essere umano, un desiderio di conoscere che porta sempre oltre, che dice ‘cammino’.
Non so perché, ma ricordo che non fu difficile per me cogliere questo aspetto ed essere attratto da Charles, giovane e adulto, dal suo essere ‘fuori-riga’, sempre notevolmente oltre gli schemi abituali di buon cattolico, di monaco, di prete. Sottolineava di essere un semplice umano, prima che conte o soldato o addirittura francese, prima che prete o religioso.
La sua ‘ricognizione’ del Marocco, travestito da rabbino ebreo, risente
del desiderio di riuscire in qualche cosa, ma risente anche del suo bisogno
di uscire dall’ozio e dal giro ‘militare’ che non lo conduceva a niente,
di conoscere e incontrare persone e luoghi invece che far loro la guerra.
Nel mio cammino, in seminario diocesano poi da giovane prete e soprattutto nei primi anni da piccolo fratello in Sardegna (ero operaio del Comune, tra i miei compiti c’era anche quello di seppellire i morti), ho scoperto che in Charles la tonalità esplorativa e di ricerca non solo è diminuita o scomparsa, ma ha trovato lo sviluppo più valido proprio nella passione per il Nazareno.
Come Mosè al Sinai, Charles de Foucauld ha la visione del roveto ardente a Nazareth! E vi attingerà per tutta la sua vita, con sempre maggiore ampiezza. In ricerca del volto di Dio nella terra di Gesù, in particolare a Nazareth, dove incontra il volto dell’uomo, che dice il volto di Dio.
Quell’umile, nascosto, piccolo, ultimo degli artigiani-operai: Gesù, figlio d’una semplice donna, Maria, preso in custodia da Giuseppe, padre putativo col quale lavorava in falegnameria, nasconde e rivela il mistero dell’umiltà di Dio, il mistero di un Dio laico, di un Dio del quotidiano.
Che gioia, che cammino di libertà a tutti i livelli. Charles de Foucauld lo scopre piano piano, lungo gli anni che non rimane chiuso nei canoni di una religione, nei meandri di una teologia o di dogmi da credere con la testa e da ripetere in formule. S’inoltra nella strada dell’imitazione del povero operaio di Nazareth, strada del divino presente nell’umano, della sacralità di ogni umano. Tale sacralità, davanti a cui togliersi i sandali, l’aveva già intuita prima della conversione come esploratore in Marocco, ma prende tutta la sua forza e orienta il vivere quotidiano e il suo ‘essere missionario’ proprio a Betlemme e soprattutto a Nazareth
Un semplice quadro familiare, ma mistero di Vita e di Amore che regge l’Universo: “Ho perduto il cuore per questo GESÙ di Nazareth (Fratello, Amico,..) crocifisso 1900 anni fa (Salvatore, Signore) e passo la vita a cercare di imitarlo per quanto possa la mia debolezza”. (1)
La mia storia inizia con la seconda guerra mondiale, in un paese delle Langhe, terra da confine del mondo. Più isolata ancora l’alta Langa, terra d’identità locale difesa a denti stretti, e però così bagnata di povertà in tutti gli aspetti da lasciar campo libero a sogni di vera umanità fraterna, a cammini di esplorazione, per ‘uscire dal seminato’, conoscere, esplorare e incontrare gli altri.
Nei miei primi cinque anni di vita, le Langhe sono state terra di partigiani in guerra per la libertà. Ho visto, ho sentito, ho respirato e registrato, come si fa da bambini, inutili violenze, morti, sangue versato, lacrime e pianti tra persone che a Natale (il Bambino Gesù…il Gesù di chi?) erano capaci di scambiarsi auguri, di darsi la mano e il giorno dopo erano di nuovo pronti ad ammazzarsi.
Per quale dono, per quale grazia non so esattamente, ma in me da quel periodo è cresciuto il rifiuto totale della guerra e delle armi, perché strumenti di inutili stragi, di divisioni mortali mentre si è fatti per la vita, per la gioiosa fraternità.
Inconsciamente, credo, portavo dentro un senso di esplorazione dell’uomo al di là o prima delle divisioni, delle lotte; una ricerca di fede ‘dentro’ ma anche ‘oltre’ il catechismo insegnato dall’anziana Carolina, oltre i vespri cantati della domenica, obbligatori per tradizione, quando noi bravi giocatori di ‘pallone elastico’ dovevamo interrompere la partita per lasciar spazio alle preghiere e guadagnarci il Paradiso.
E poi fu tempo di seminario, tempo di radicalità sognata più che vissuta, di ‘viaggi’ oltre il ridottissimo spazio quotidiano. Sognavo un tipo di prete che salva un’infinità di gente, che fa risuonare ‘prediche travolgenti’, ma che sollecita anche confessioni infinite e ha facile fraternità con tutti.
Allora mi venne incontro, mediante le visite e le testimonianze di Dominique Voillaume e Carlo Carretto, il nostro personaggio eccezionale nella sua semplicità e ‘piccolezza’: fr. Charles de Foucauld, coinvolgente per il tono di ‘radicalità’ nel seguire Gesù di Nazareth. Ne avvertivo, anche se ancora molto nella nebbia, il tono di ‘novità’, il fascino d’una vita religiosa diversa dai ‘soliti frati’ chiusi nei conventi o dagli affaccendati preti presi nel ‘salvare’ giovani e meno giovani dall’inferno. Avvertivo un uomo prima di tutto.
Ordinato ad Alba prete diocesano, viceparroco con prevalente attività pastorale fra i giovani, credo fu proprio questa mia ricerca,-erano i tempi del ’68- del primato di Dio e della persona umana, a spingermi verso la fraternità di Spello, a fare unasettimana di ritiro non tradizionale e con nuove prospettive.
Lì ho trovato un clima e dei fratelli che mi hanno fatto scoprire meglio Charles de Foucauld, mi hanno testimoniato il primato di Gesù Cristo sulla Chiesa, della persona umana sui suoi titoli o ruoli, il primato dell’amore -carità sulla religione. A Spello, nell’incontro con tanti giovani nei vari eremi, nell’ascoltarli e nel dire loro la mia esperienza, stavo imparando quanto Charles aveva vissuto.
“Ha fatto della religione un amore” (Huvelin dice di lui)
Un Charles esploratore nel quotidiano della storia dell’uomo, esploratore del divino, esploratore con in fronte, come i minatori, la lampada dell’Amoreuniversale, cioè della croce e del cuore di Gesù, Sacro Cuore, Fratello-Signore dell’universo.
Da giovane aveva esplorato l’uomo sulle vie del piacere, dei libri di filosofia
e scienze varie, incontrando un se stesso triste, distrutto. Tra i commilitoni incontrava uomini senza risposta soddisfacente alla domanda di senso, alla questione su Dio.
Esplora allora un territorio, un popolo in Marocco e in un certo senso trova Dio, o meglio è richiamato a porsi la domanda su Dio, una domanda che impegna non solo la testa, ma tutto il suo vivere.
Ritrovato l’incontro con il Dio di Misericordia, inginocchiatosi davanti a don Huvelin a Parigi, venne invitato a conoscere la Terra Santa, i luoghi di Dio fra noi. In seguito, entrato tra i monaci, andrà lontano, a Akbés in Siria, per nascondersi in Dio, in Gesù di Nazareth. Lì da buon ricercatore attento alle persone, visitando i contadini attorno al monastero, farà l’esperienza di gente più povera dei monaci, di persone perseguitate, in estrema sofferenza. Cercava Dio e scopre l’uomo nel mistero dell’universo. Scopre i poveri, scopre i sofferenti, le vittime dei nostri poteri, scopre il più basso dei poveri, delle vittime: Gesù Fratello, Signore.
Anni dopo, nascosto a Nazareth presso le Clarisse, ma con il cuore sempre in esplorazione, Charles è abitato con chiarezza da un pensiero e da una ‘chiamata-missione’ che tutto lo scuote: “Non c’è credo, parola del Vangelo che, come questa, abbia fatto in me un’impressione così profonda e trasformato maggiormente la mia vita: “tutto ciò che fate a uno di questi piccoli è a me che lo fate”. Se si pensa che tali parole sono quelle di colui che ha detto “questo è il mio corpo e questo è il mio sangue”, con quale forza si è portati a cercare e ad amare Gesù in questi piccoli, in questi poveri”.
Presenza particolare e misteriosa nell’Eucarestia, come Charles la sentiva passando ore in adorazione, mistero della fede; presenza di Gesù Cristo nel povero, in ogni altro vivente, nel cosmo: è questo il colore di fondo, non sempre letto e applicato con chiarezza, che mi ha accompagnato e mi accompagna nella mia lunga vita di Piccolo fratello del Vangelo di Gesù.
Ripercorrendo gli anni, passati in varie fraternità e luoghi diversi, posso dire che la nota di fondo è l’accoglienza. Sempre e dovunque sono stato accolto e ho cercato d’imparare l’accoglienza.
In Tanzania, a Chalinze, piccolo villaggio poverissimo, capanne di terra sparse qua e là, anche il tetto di terra; polenta e ‘mlenda’ (salsa di erbe secche ridotte in polvere che, cotta nell’acqua diventa ‘collante’) e a volte fagioli (se ce n’erano)….grande povertà.
Una mattina, come spesso facevo, passo a visitare, salutare e portare qualche medicina. Arrivo a una capanna, una donna (già ci conoscevamo) è seduta stancamente sulla kigoda (sgabellino a tre gambe); mi saluta, m’invita (“Karibu, Karibu sana”) a sedermi su un’altra kigoda già pronta. Incominciano i saluti, lunghi, pazienti. A un certo punto dei saluti lei mi dice: “Mgeni amekuja” (Un ospite è arrivato). Credo di indovinare. In effetti lei si alza lentamente, va dentro, prende il suo bimbo, partorito durante la notte, ritorna con lui in braccio e dolcemente pone fra le mie braccia l’ospite. Messaggio chiaro, altro che lezione di catechismo! Un bimbo che nasce è ospite anche della mamma, la mamma è ospite nella sua casa, la sua casa è ospite nel cosmo, perché il cosmo non è né mio, né tuo; il cosmo sono io, il cosmo è ogni altro, il cosmo è in Dio. Nel cosmo ciò che più conta è l’accoglienza reciproca.
Accoglienza, ospitalità, fraternità: i tre piedi della Kigoda su cui ‘riposa’ ogni vero umano, su cui riposa Dio Tre piedi da tenere ben saldi, senza orgoglio, senza vantarsi, semplicemente metterli in pratica. E’ accertato che negli ultimi anni Charles si firmava con il solo nome, senza titoli, neanche quello di fratello. Il che ha un significato ben profondo: il valore della persona oltre ogni titolo, senza appartenenze, neanche di religione.
Forse è in questa linea che da 4-5 anni ho smesso anch’io di firmarmi fratel Tommaso, bensì semplicemente Tommaso o, in particolare da circa un anno, semplicemente Tom.
Il contrappunto di questa sinfonia di vita è vedere l’altro, sentire ogni altro come ‘terra sacra’ davanti a cui togliersi i sandali e così imparare ad amare. L’altro mi ha sempre fatto capire il mistero del vivere, che è dono di accoglienza reciproca, di ospitalità senza limiti, di fraternità desiderata e cercata in un artigianato di pace.
Un detto antico: ‘Ho cercato me stesso, non mi sono trovato; ho cercato Dio, non ho potuto riconoscerlo direttamente; ho cercato l’altro, ho riconosciuto la sacralità e mistero del suo volto, della sua vita….Ho trovato tutti e tre: me stesso, Dio e appunto gli altri’.
Ed è ciò che cerchiamo di vivere oggi alla Fraternità-Eremo Betania:
Lo so , non c’è prima l’altro e poi io e Dio. So ancora che non c’è prima l’adorazione eucaristica e poi i poveri e poi io. C’è sempre un misterioso legame di unità, di circolazione da uno all’altro, come nella Trinità. So che la preghiera se non mi porta a vivere l’unico comandamento dell’Amore, non vale niente; se celebrare l’eucarestia non mi manda a vivere l’eucarestia nel quotidiano, consacrato come l’ostia dalla fame d’amore dei sofferenti, dei violentati, di tutti, è carne senza Spirito.
Sono lontano dalla spiritualità, dalle tracce di Charles de Foucauld? Rendo grazie allo Spirito, alle Fraternità di Gesù e del Vangelo e altre, a tanti poveri incontrati nei vari luoghi che mi hanno aiutato e anche ora mi aiutano a chiedermi non cosa farebbe Charles, ma“Cosa farebbe Gesù, fratello e Signore, al mio posto, proprio in questo momento, in questa situazione?”
E allora, come faceva Charles, ritorno a cercare nel Vangelo, che mi fa incontrare Gesù Cristo, ad adorarlo con meraviglia di bambino nell’Eucarestia, a respirarlo nello Spirito che aleggia ovunque, contemplando le stelle nella notte e le prime luci dell’Aurora, e desidero impegnarmi ad accoglierlo e ‘toccarLo’ – Fratello, Amico, Salvatore, Signore – nei poveri, in ogni altro ospite nel Cosmo.
Con affetto,Tom