In Togo, con Permesso, Grazie, Scusa

Cinque e trenta della mattina. Il denso e gagliardo frastuono delle onde si diffonde in ritmico suono fra le alte palme, sulla sabbia dorata e fra le capanne destando nei dormienti visioni di vasto futuro in brevissimi sogni sulla soglia del risveglio.

L’aurora è alle porte dell’oceano, alle finestre della vita di tanta gente locale e pochissimi stranieri nomadi a motivo di riposo, alcuni ancora dormono e (……) niente pesci dei pescatori che tornano da lontano.

La luce del giorno illuminerà neri e bianchi e gialli, buoni e cattivi, deboli e forti, bimbi e anziani.

Permesso, possiamo toccare la terra d’Africa, nel Togo?

L’aereo atterra alle 19,45 ora locale, in Europa le 20,43.

Siamo accolti all’aeroporto da Mamma Maya (Michela) e da Maya appunto (4 anni) e da Antoine.

Fare il visto ci vuole un po’ di tempo, mezz’ora, che noi troviamo lungo e costa 20 euro.

Se uno del Togo, vuol venire in Italia o in Europa, ottiene il visto? Quanto costa?

Lomè, capitale del Togo, terra d’Africa occidentale, ha circa un milione di abitanti, quasi tutti neri, colore che inonda di soffusa bellezza, come le prime luce dell’aurora sul mare, i volti di uomini e donne di giovani e anziani, segnati dalla forza del sole che brucia, dalla fatica del vivere in un caldo umido, da sofferenze senza nome ma anche da silenziose gioie profonde, accettando e vivendo semplicemente la vita così com’è.

Da Antoine, al Coco Bach, in attesa di ufficializzazione del visto, ci troviamo come in famiglia. Mi sento a  casa, ritrovo il colore e il calore dell’accoglienza Tanzaniana, magari un po’ più riservata visto che non conosco nessuno, ma il tono, l’animo è lo stesso: mi tolgo i sandali, davanti alla Terra Sacra che Tu Sei.

Così Antoine, così James, così Goè e mama Sandra, varietà di umanità, di caratteri, di realtà sociale, di religioni, ma una sola nota di fondo: come un grazie che esisti, grazie che sei qui da noi, con noi.

A volte c’è qualche riverenza di troppo, in suoni, in danze, con oggetti artigianali in vendita.

Vedo tutto questo come una piccola creativa e un po’ astuta invenzione per sopravvivere, guadagnare qualche centesimo, come una piccola restituzione di quanto noi europei abbiamo rubato loro e ancora facciamo.

Grazie papà Goè e mamma Essè, per l’invito a pranzo: polenta e sugo con verdure e pesce buonissimo, piatto unico, dove tutti attingiamo con le mani (finalmente)! Grazie papà Goè per il tuo cortile, dove c’è di tutto: piante di limoni, galline, caprette, gatti. Grazie per le marionette che fai con le zucche svuotate.

In moto James mi porta a casa sua, dove vive con la mamma anziana, e poi dai padri della S.M.A. (Società Missionari Africa). Due parrocchie, due scuole per ragazzi con possibilità di catechismo.

Fuori, seduto ad un rustico tavolino, Padre Elisè dialoga con me, desideroso di informarmi sulla vita sociale, religiosa e politica in Togo. Più che chiedere permesso, mi viene spontaneo chiedere scusa della mia ignoranza, scusa per chi ha vissuto nel passato la missione più come conquistatore, come chi impone, invece di dar valore alla testimonianza, di offrire un banchetto di uguaglianza, di vera condivisione, di ascolto e conoscenza reciproca.

Com’è oggi? Mi parla, con molta discrezione e sottovoce della gente che soffre, di una non libertà di parola…. Due donne aspettano il turno per parlare col padre. Ci salutiamo sempre in tono calmo con animo fraterno e di amicizia.

Ma oggi, sempre con James, visitando Maison des esclave (casa degli schiavi), la parola “Scusa” non basta. So che conta poco, ma nel quaderno dei visitatori, scrivendo il mio nome e l’origine, italiano, ho aggiunto: “Chiedo perdono per il peccato dei coloni, perdono per l’infame abominio della schiavitù nel passato, e perdono anche per le violenza e le morti di tanti schiavi anche oggi, schiavi dei padroni del mercato, della terra, di popoli interi, mentre la terra è di tutti, il diritto a emigrare e raggiungere altre terre è pure di tutti.

Perdono anche chiedo a chi, venuto a Betania, non ha trovato accoglienza pura e gioiosa, a chi lavorando per la festa o normalmente nel quotidiano, non ha sentito il vero calore dell’accoglienza reciproca e magari una parola di tenerezza e fiducia.

Sono le venti. E’ tardi; la notte qui viene presto, alle 18.30; o meglio è presto, ma il buio chiede silenzio, preghiera, respiro calmo…

E’ così che si genera la vita; la notte è fatta per la luce, genera sempre aurore e vita nuova.

Tommaso